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Filosofia minima

Gli errori degli antidarwiniani

di Guido Barbujani

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20 Aprile 2010
Gli errori degli antidarwiniani

Due idee stanno al centro dell'opera di Charles Darwin, elaborate e scrupolosamente documentate nel corso di una vita. Primo, specie diverse discendono, con modifiche, da antenati comuni. Secondo, queste modifiche dipendono soprattutto dalla selezione naturale: le caratteristiche ereditarie vantaggiose si diffondono attraverso le generazioni perché, in media, chi le ha lascia più figli di chi non le ha. È così che si sono evoluti il nostro cervello grande e il pollice opponibile. Da tempo si è capito anche che la selezione migliora, ma non rende perfetti. È per questo che nella nostra specie il mal di schiena è comune, e partorire è complicato.

Nessuna di queste idee è tutta farina del sacco darwiniano, e non c'è da stupirsene. Nei fumetti capita che ad Archimede Pitagorico si accenda in testa una lampadina, ma la scienza procede per gradi. All'idea della comune origine dei viventi c'era arrivato anche Lamarck; il concetto di selezione naturale e le sue prove empiriche devono molto al contributo di un altro naturalista, Alfred Wallace.

Col libro Gli errori di Darwin, tradotto da Feltrinelli dopo essere stato stroncato dalla stampa specializzata al suo apparire negli Usa (per esempio, dalla rivista «Nature»), Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini, filosofo il primo, psicologo cognitivo il secondo, cercano a modo loro di contribuire a questo dibattito. Ridotta all'osso, la loro tesi è la seguente: (a) Darwin vedeva tutto come prodotto della selezione; (b) la biologia evoluzionistica è darwiniana e dunque descrive tutto come prodotto della selezione; (c) psicologi, linguisti ed economisti pescano a piene mani da questa tradizione di pensiero ipersemplificato; (d) nuove conoscenze mettono in crisi le antiche certezze; (e) i biologi lo sanno benissimo ma non lo ammettono perché nel frattempo Darwin è diventato un totem impossibile da criticare. Se i biologi hanno cambiato il darwinismo in molti modi, concludono i due autori, ora bisogna rovesciarlo.

Novant'anni fa queste tesi avrebbero avuto qualche interesse. Da allora, però, si sono fatti parecchi passi avanti, apparentemente all'insaputa di Fodor e Piattelli Palmarini. Solo sul punto (c) si può essere d'accordo: dal darwinismo sociale in poi, chi ha cercato di mutuare metodi e concetti del pensiero evoluzionista ha spesso prodotto modelli deterministici e scientificamente fragili, come quelli di Skinner, contro cui Fodor e Piattelli Palmarini giustamente polemizzano. Il fatto è che, prima di applicare il metodo evoluzionista a problemi di altra natura, bisogna aver capito bene di cosa si parla. Purtroppo, non è dal pulpito di Fodor e Piattelli Palmarini che può venire una predica in questo senso.

Stupisce, in effetti, quanto poco gli autori di questo libro si siano sentiti in dovere di documentarsi. A parte gli strafalcioni (il 45% dei nostri geni ci deriva per trasferimento orizzontale da altre specie? E chi l'ha detto?), Darwin stesso aveva chiarito che attribuire alla selezione ogni cambiamento nei viventi significa travisare il suo pensiero. Era un pluralista, sapeva che per fenomeni molto complessi non esistono spiegazioni semplici. Ai primi del Novecento, la cosiddetta Nuova Sintesi riconcilia, dopo aspri dissensi, l'evoluzione con la nuova scienza della genetica, ma il dibattito continua e l'evoluzionismo continua a evolversi. Sewall Wright comprende come la deriva genetica, cioè la trasmissione dei geni in popolazioni piccole, introduca nell'evoluzione una componente casuale. Negli anni Settanta, Motoo Kimura propone un'alternativa ancora più drastica: la selezione elimina ciò che non funziona, ma sono deriva genetica e mutazione a determinare le differenze fra individui e popolazioni. Da allora sono emersi modelli ancora più sofisticati, in cui interagiscono selezione naturale, fenomeni casuali e meccanismi interni alla cellula.

Di questo dibattito non resta traccia nel libro, di Kimura non si fa parola. È come una storia del cinema in cui l'ultimo film recensito fosse La corazzata Potemkin, e sui novant'anni successivi si trovassero solo generiche affermazioni di filosofi della cinepresa.

L'origine delle specie è stato scritto 150 anni fa; Darwin aveva a disposizione forse un milionesimo dei dati scaricabili oggi da internet. L'evoluzionismo moderno si basa su Darwin, ma lo rilegge alla luce della genetica, della biologia molecolare e della biologia dello sviluppo. Si è fatta molta strada, e quando Fodor e Piattelli Palmarini troveranno il tempo di informarsi, per esempio leggendo il capitolo "What not to expect of natural selection and adaptation" del bellissimo Evolution di Doug Futuyma (Sinauer 2009) scopriranno cose che manco s'immaginano. Forse si renderanno anche conto che la loro polemica contro l'ortodossia darwiniana è inutile. La Michelin produce pneumatici tondi non perché stia aggrappata come una cozza al vecchio modo di pensare, ma perché pneumatici quadrati sono peggio di quelli tondi. Allo stesso modo, gli evoluzionisti si tengono Darwin, non perché criticarlo è tabù (il che dispiacerebbe per primo all'interessato, spirito critico quanto pochi altri), ma perché, finora, le sue idee hanno dimostrato di funzionare meglio di ogni alternativa.

  CONTINUA ...»

20 Aprile 2010
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